Osservanza della disciplina del D.L. 78/2010
Osservanza della disciplina del D.L. 78/2010
Al riguardo sono state propugnate due diverse soluzioni:
Una prima soluzione, più rigorosa, propende per la piena applicazione,
anche nel caso di specie, del D.L. 78/2010; si è osservato, al riguardo,
come l’area abbia ormai perso la sua autonomia funzionale e sia
divenuta parte integrante e imprescindibile del fabbricato cui è asservita,
al punto da esser raffigurata nella planimetria unitamente all’abitazione
stessa.
Il dato catastale quindi rappresenterebbe un’immobile ormai da
considerarsi nella sua unitarietà come “unità immobiliare urbana”, e
come tale soggetto, in toto, alla disciplina dettata dall’art. 19, c. 14. DL.
78/2010.
L’altra soluzione, più possibilista, propende, invece, per l’inapplicabilità,
nel caso di specie, del D.L. 78/2010, a condizione che, nell’atto di
costituzione della servitù, oltre ad essere riportato il dato catastale
riferito all’intero immobile, venga anche inserita una precisazione volta a
limitare la servitù alla sola area scoperta (magari da individuarsi nel suo
tracciato su apposito elaborato grafico da allegare all’atto); in questo
modo si sarebbe in presenza di una servitù a carico di area scoperta,
come tale esclusa dall’ambito di applicazione del D.L. 78/2010.
Non esistono argomenti testuali, ricavabili dal D.L. 78/2010, che
possano preferire la deliberazione più rigorosa anziché la deliberazione
più possibilista.
Nell’azione si sono registrati comportamenti che hanno utilizzato l’una o
l’altra deliberazione, in assenza di indirizzi interpretativi uniformi.
Si consiglia di seguire la soluzione più rigorosa (con conseguente
applicazione della disciplina del D.L.78/2010), al fine di evitare ogni
possibile contestazione in ordine alla validità dell’atto costitutivo di
servitù (tenuto anche conto della mancanza di una interpretazione
giurisprudenziale univoca).
Altro argomento, sollevato in assetto alle servitù che vengono a formarsi
in circostanza della creazione di un fabbricato, è quello attinente agli
impianti comuni, posti a beneficio delle varie unità del fabbricato, che
possono essere messi nei muri o nelle aree di competenza di unità di
proprietà esclusiva.
Si suggerisce di “disporre una regola unica, per così dire polivalente, da
inserire in ogni atto del nuovo condominio che valga per qualusiasi
servitù creata dall’atto medesimo” (in particolare si è suggerito di
inserire i dati e i riferimenti alle piante catastali e di integrare la
dichiarazione di conformità “anche con riferimento alle unità
immobiliari di proprietà dell’alienante dove la servitù potrebbe
nascere …”).
Gli impianti di distribuzione dei servizi (gas, energia elettrica, acqua,
ecc.) non sono di proprietà dei singoli condomini, in quanto non sono
posti solo a servizio di una singola unità.
Quindi non è neppure configurabile una servitù dove il proprietario del
fondo prevalente abbia il diritto di mantenere impianti di sua proprietà
che consentano al fondo di allacciarsi ai servizi pubblici.
Gli impianti di distribuzione dei servizi sono essi stessi “parti comuni
condominiali”, in quanti posti a servizio di tutte le unità facenti parte del
condominio (e ciò sino al punto di diramazione nelle proprietà
esclusive).
In questo senso dispone l’art. 1117, c. 1, n. 3, c.c.: “sono oggetto di
proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari
dell’edificio […] i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione
per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il
condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso
a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via
cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di
proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti
unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di
settore in materia di reti pubbliche”.
Se un comproprietario ha diritto a servirsi degli impianti di spartizione
dei servizi è perché sono parti comuni condominiali e non perché è a suo
beneficio una servitù.
Nemmeno i proprietari delle unità dove sono messi gli impianti di
spartizione possono interrompere l’utilizzo “condominiale” degli
impianti stessi.
L’art. 1122 c.c. dispone che “nell’unità immobiliare di sua proprietà […] il
condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni
ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro
architettonico dell’edificio.”
Addirittura, l’art. 1122Bis c.c. consente al singolo condomino di
installare “impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e
per l\’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da
satellite o via cavo” a condizione che siano “realizzati in modo da recare
il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di
proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico
dell’edificio, salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche”.
Dunque, il proprietario ha il diritto di collocare impianti di ricevimento
anche su unità| di proprietà esclusiva di altri condomini, e ciò in virtù
del diritto che deriva dalla norma in spiegazione (senza che sorga una
servitù).
Si può parlare al riguardo di limiti legali al diritto di proprietà, derivanti
dal fabbricato e discendenti dagli artt. 1117 e segg. c.c.
Al riguardo non vi è posto per l’applicazione del D.L. 78/2010.
La dottrina del DL. 78/2010 trova esercizio quando il fondo servente
consista in una “unità immobiliare urbana” ossia in un’unità che sia
accatastata al catasto dei fabbricati mediante pianta catastale e
conferimento di reddito; ciò avviene anche nel caso in cui la servitù
riguardi una parte della stessa, parte che se denunciata liberamente al
catasto rientrerebbe tra le categorie fittizie, dimostrasi nel caso
delle aree scoperte di corte.
In altri casi (come nel caso che fondo servente sia una parte comune
condominiale, un terreno o un bene accatastato in categoria fittizia F1,
F2, F3, F4, F5) non si applica il D.L.78/2010.
Per gli impianti di ripartizione dei servizi non si va a costituire servitù a
carico delle unità di proprietà esclusiva dove sono collocati gli impianti.
Al riguardo si può parlare di “limiti legali alla proprietà” derivanti dalla
struttura condominiale del condominio e discendenti dagli artt. 1117 e
segg. c.c.; pertanto è esclusa l’applicabilità del DL. 78/2010.
Ciascun proprietario può usufruire del bene comune e delle parti comuni
dell’edificio purché ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., non venga cambiata la
destinazione del bene comune, né vengano bloccati gli altri partecipanti
di farne uso secondo il loro diritto.
Il fabbricato non ha nessun diritto di usufruire del bene comune in modo
inconsueto se tale bene determina problematiche nell’ambito del diritto
di altri condomini, in questo caso è riconosciuto il diritto del singolo
proprietario di usare dei vani delle scale e dei pianerottoli collocando
davanti alle porte d’ingresso alla sua proprietà zerbini, tappeti, piante o
altri oggetti ornamentali. (Cass. civ., 20 giugno 1977, n. 2589).
E’ chiaro come la collocazione dello zerbino, di una pianta o di un
portaombrelli, non costituisca un abuso nell’uso di spazi comuni.
Un tale sfruttamento si risolve normalmente in un favore estetico,
piacevole per le stesse parti comuni della struttura.
Osservanza della disciplina del D.L. 78/2010
Dott. Piero Antonio Esposito

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